L’Associazione Atto Primo Salute Ambiente Cultura ha sottoscritto la Dichiarazione di Emergenza Giuridica di
Generazioni Future:
Siamo di fronte a un’emergenza giuridica nazionale e questa, come le altre, va dichiarata, e qui si dichiara!
Grande assente del dibattito d’attualità concernente il Covid-19 è stato il dialogo giuridico. Relegato in angolo, il diritto ha subito il positivismo del legislatore dell’emergenza. Con profondo rispetto civico e senso delle Istituzioni, molti tra giuristi e operatori del diritto hanno sin qui taciuto di fronte agli orrori cui quotidianamente si assisteva nella fase della cosiddetta prima emergenza. Gli abominii giuridici possono riassumersi uno actu: il 09 marzo 2020 si è posto fine allo Stato di diritto, rinunciando alla tripartizione dei poteri.
Nell’emergenza, il legislatore si è congiunto col Governo e il sistema regolatorio adottato ha messo fuori gioco anche il potere giudiziario. Nessuna tutela effettiva è, infatti, concessa ai diritti nel regime giuridico attualmente sussistente nel Paese. Il processo di amministrativizzazione del diritto, in uno alla totalizzante tecnicalità societaria che lo stesso è costretto a rincorrere, in termini positivi, si è esasperato nell’emergenza sanitaria.
La decisione politica è divenuta decisione tecnica, delegata e rimessa alle indicazioni del Comitato tecnico scientifico; organo, questo, che sfugge del tutto ai criteri di rappresentatività, che connotano e devono connotare i sistemi democratici. L’atto normativo poggia su presupposti tecnici e viene attuato per il tramite di atti amministrativi altrettanto espressivi di discrezionalità-tecnica. Ingiustificatamente, il giudice adito è quello della legittimità amministrativa, anziché quello dei diritti soggettivi. L’attenzione rimediale si sposta dal soggetto all’oggetto e la giurisdizione perde il suo connotato di soggettività, sostanziandosi in un “sindacato-non sindacato” dell’attività amministrativa. Il carattere fedifrago di questa tutela, offerta dal legislatore dell’emergenza, si rivela nello svuotamento integrale che la interessa di fronte alla riserva di scienza. La competenza tecnica che le Corti rinunciano aprioristicamente a valutare individua l’abominevole giustificazione della paralisi giudiziaria attuale. La scelta politico-amministrativa non viene indagata con pieno accesso al fatto, ma il giudice si paralizza di fronte alla scienza che ritiene insondabile, facendo strali della migliore giurisprudenza amministrativa, ottenuta e raggiunta con anni di fatica teorica e operativa. Laddove non si rinunci agli strumenti processuali che lo consentono e si valuti addentro la tecnica su cui poggiano le scelte amministrative e politiche, la bontà delle stesse non è realmente revocabile in dubbio. Il contesto sociale, specialmente dell’informazione, fa insopportabilmente eco -in senso acritico adesivo- alle scelte compiute dal governo legislatore. Chi dubita e compie analisi critica è sottoposto all’onta mediatica e sociale. Molti, per necessità di quieto vivere o per indole, rinunciano a pensare o per lo meno a esternalizzare quel che pensano, con sacrificio dell’interesse generale a coltivare la miglior società possibile. La censura dilaga, mascherata, col sacrificio ulteriore dei diritti di opinione e di manifestazione libera del pensiero. Essa assolve un ruolo servente al controllo intrusivo in cui si estrinseca la proposta giuridica dell’emergenza, che tutto giustifica e tollera in suo nome. Negli ultimi due anni non si è affrontato né in termini sostanziali né in termini procedurali l’impatto della pandemia e del suo governo sul sistema di diritto e sull’impianto normativo nazionale. Tale rinuncia all’osservazione giuridica e la devoluzione alle Corti dell’individuazione di tecniche di tutela appropriate ha spinto verso un diritto sempre più assimilabile a quello dei sistemi di common-law, senza che di essi il nostro ordinamento abbia la forma e la struttura. Tanto ha privato di ogni garanzia il diritto soggettivo, che trova la maggiore protezione nell’esercizio proprio del potere legislativo. Serve e sarebbe servito predisporre un regime giuridico dell’emergenza, che non può improvvisarsi all’impronta, lasciandone la conformazione agli operatori tecnici, cui spetta il merito di aver tentato di garantire comunque tutela alle posizioni giuridiche soggettive lese o messe a rischio dal diritto emergenziale attraverso gli strumenti presussistenti.
Si è mancato di predisporre una impalcatura giuridica dell’emergenza. Un diritto dell’emergenza si può formare nei canali del diritto vivente solo se essi si sovrappongono a binari predeterminati dalla legge, la sola che, in armonia reale col dettato costituzionale, può individuare le rime di garanzia cui i diritti non possono rinunciare in alcuna circostanza fattuale. Mentre perfino la guerra ha il proprio rito, coi propri giudici e le proprie leggi prevedibili e conoscibili, il legislatore dell’emergenza ha mancato di fornire un tappeto giuridico alla straordinarietà, dove l’ordinario regime di tutela si è mostrato del tutto inadeguato.
Siffatta inadeguatezza è fisiologica e dunque ben poteva prevedersi e avrebbe dovuto, anzi, essere prevista; con una deficienza che assume forse caratteri globali. E’ ora il tempo di recuperare l’analisi fin qui mancata circa la regolazione degli assetti giuridici nell’emergenza, sul presupposto che questa si va protraendo potenzialmente senza termine e che la tendenza contingente volge verso l’introduzione definitiva di un nuovo sistema, specie delle fonti. Lo sviluppo del ragionamento critico-analitico, in termini di difesa dei diritti, non può che muovere principalmente dalla presa d’atto della assenza di un giudice naturale precostituito per legge, terzo e imparziale, deputato a conoscere il diritto dell’emergenza. L’avvenuta distrazione da questo giudice integra una delle più gravi vulnerazioni subite dal diritto, dalla Costituzione e dai cittadini e chiede a gran voce di individuare una soluzione urgente. L’apice predigiuzievole di tale assetto si raggiunge al cospetto del lavoro, ove il sovvertimento dei paradigmi tradizionali del ragionamento giuridico si rivela maggiormente. Più che del diritto al lavoro si fa qui riferimento al sostrato fondativo della Repubblica. La messa in contropartita del lavoro con obblighi indiretti consente di squalificare dal linguaggio comune l’aggettivo gentile, spesso affiancato al termine “spinta”, per intendere la ragione delle scelte governative in merito a trattamenti oggi sanitari, ma che ben possono essere assunti a indici sintomatici di una possibile legiferazione praticata in modi analoghi su altre materie. Assistere in silenzio a questa mortificazione eticizzante dello Stato significa abiurare al proprio ruolo di cittadini, prima e ancora più che a quello di operatori e conoscitori del diritto. I gravi toni moraleggianti dei poteri, politico e giudiziario, ammoniscono del termine dell’acclive verso cui velocemente s’inclina. Intimità e res publica devono attenere e attengono a sfere distinte, in alcun modo sovrapponibili. Va difeso, quindi, il il carattere rigido della Costituzione dall’avvento di una costituzione materiale, fondata sul diritto emergenziale; va difeso l’impianto di civil law del nostro ordinamento, oggi più che mai irrinunciabile. L’interesse generale va misurato con riguardo alle generazioni future e illuminato al faro delle decisioni politiche degli ultimi anni, che hanno condotto ad aggravare grandemente lo stato di emergenza sanitaria, spesso fondandolo. La decisione pubblica va revocata alla mano pubblica, sostanzialmente oltreché formalmente, e rimessa ai decisori secondo criteri di effettiva rappresentatività cui si lega unicamente un modello di legge elettorale proporzionale.
La scusa della governabilità è bandita! Altrettanto, la spinta alla resa amministrativa del diritto va arrestata con urgenza. Il carattere regolatorio primario delle leggi speciali non può entrare in urto con il diritto costituzionale. La settorializzazione della società, che scompone il diritto nella sua facie positiva entro specializzazioni tecniche, atte a riporre ancora in capo all’esecutivo il potere, non deve inibire il ruolo dei principii, orientativi delle condotte e delle scelte plurilivello.
Il tempo ci attinge in una nuova fase costituente, dove il giurista è chiamato al proprio ruolo di partecipazione alla costruzione d’un quadro regolatorio innovativo, ma rispettoso dei diritti costituzionali e dei principi democratici, fondativi dello Stato di Diritto; un neo-ordinamento che non integri uno scivolamento regressivo rispetto alle conquiste liberali, ottenute col sacrificio sconcertante della guerra. Appare ormai ingenuo pensare che un diritto così nutrito, quale è quello dell’emergenza, possa costituire una finestra cronologicamente limitata e che tale assetto possa tornare nei gangli previi, conosciuti. Sempre di più si va costituendo un corpus juris emergenziale, parallelo al diritto ordinario, costituito dal blocco di norme nazionali speciali e dal profluvio di norme regionali e comunali, altrettanto adottate negli ultimi due anni. Ciò sembra ormai dare nuovo argomento al sospetto di volatilizzazione delle forme giuridiche pregresse, declinando il diritto verso un ignoto pur visibile già oggi. A questo scopo, preso atto dell’errore sin qui commesso dalla categoria dei giuristi difensivi, i quali hanno agito meritoriamente ma in modo non coordinato, discusso né valutato di concerto, si rende necessario uno strumento di reazione organizzata al declino delle istituzioni democratiche.
Nasce oggi la costituenda rete nazionale di coordinamento giuridico, che si prefigge il ruolo di armonizzare la risposta giuridica nelle Corti, mettendo in moto un meccanismo di resistenza giuridica partecipata quanto più diffusamente possibile. Auspichiamo una larga adesione di tutti quegli operatori del diritto, accademici e attivi come difensori o giudicanti, che sentendosi chiamati a far parte di un momento storico di grande responsabilità civile vogliano collaborare nello studio di soluzioni concrete, nonché a diffondere un’analisi giuridica oggettiva e imparziale dello stato attuale dell’ordinamento italiano, che sia unicamente improntata al rispetto e alla definitiva attuazione della Costituzione.
grande assente è stato il popolo e non i silenti avvocati che sono stati “abbabiati” dalla propaganda mondialista del Sars-Cov 2 allo stesso modo del più sprovveduto dei cittadini.
Per non dire di altro.
Perché un giurista avrebbe potuto andare ad ab ovo della Pandemia.
E facendolo avrebbe scoperto che: a Ginevra l’11 giugno 2009 per la cd Febbre Suina ci fu una Dichiarazione di Pandemia, Dichiarazione avvenuta durante una riunione col Comitato d’Emergenza che innalzò la pericolosità dal livello 5 al livello 6 (ovvero il 6 è la Pandemia)
https://www.who.int/news/item/11-06-2009-dg-statement-following-the-meeting-of-the-emergency-committee .
Per la Sars- Cov. 2 solo rinominata Covid 19 invece l’11 marzo 2020 ci fu un semplice Discorso in un briefing coi giornalisti, senza il coinvolgimento del Comitato d’Emergenza e senza alcun riferimento al livello precedente e a quello attuale. Senza neanche specificare dove si sia tenuto tale briefing (https://www.who.int/director-general/speeches/detail/who-director-general-s-opening-remarks-at-the-media-briefing-on-covid-19—11-march-2020 )
Detto che questi sono atti del potere e non di mister nessuno, un giurista poi dovrebbe sapere la differenza, e il valore, tra Dichiarazione e Discorso.
Scusate la franchezza. Ma è il minimo che si possa dire.