Parte Seconda: la realtà
Dopo aver sorriso, con commiserazione e ironia, di fronte alle somme sciocchezze del nostro naturalista insipiente, il tono deve farsi però più serio quando ci si accorge di una doppia contraddizione nei suoi discorsi. Da una parte egli contraddice alcune delle premesse principali della sua stessa disciplina, dall’altra le sue affermazioni sono palesemente assurde di fronte a un ragionamento filosofico sui valori. Vediamo entrambe queste contraddizioni.
Dal punto di vista della “scienza”, egli sostiene, è stato necessario imporre obbligatoriamente la vaccinazione contro il morbillo al fine di scongiurare la diffusione di tale malattia infettiva, la quale fra l’altro faceva rare vittime e aveva poche conseguenze di grave entità. Questo provvedimento avrebbe portato alla riduzione della malattia e ciò rappresentava, secondo lui, il bene collettivo. In primo luogo, gli insegnamenti delle scienze naturali stesse lo smentiscono. Sicuramente egli avrà studiato Darwin e tutte le teorie dell’evoluzione che ne sono derivate. Le sue stesse discipline di studio e di divulgazione vedono l’uomo come una macchina biologica e ritengono che il genere Homo sia derivato evolutivamente da predecessori animali: tutto questo è decisamente in accordo con le teorie evoluzioniste. Ebbene, proprio seguendo queste concezioni non si può definire un gran male il fatto che una popolazione animale (e quindi anche quella umana) venga sottoposta a una “prova” sulla base di certe difficoltà (predatori, mutamenti dell’ambiente, malattie, ecc.): così infatti vengono selezionati gli individui più resistenti e il patrimonio genetico della specie ne trae giovamento. Il contrario, invece, rende la specie più debole e meno resistente, quindi la peggiora e crea un danno alla specie. Sarebbe come se le antilopi riuscissero a eliminare la predazione da parte dei grandi felini nelle savane dell’Africa: i singoli individui ne trarrebbero gran giovamento, ma la specie ne riceverebbe un danno copioso. Su questo nessun naturalista canonico può sollevare dubbi. Vorrei, però, non essere frainteso. Non sono io che sostengo una teoria della selezione naturale da applicare agli uomini, anzi come filosofo io sono molto incline a criticare tale ipotesi, ma sono proprio le scienze naturali che affermano queste idee sull’evoluzione delle specie animali, cioè le scienze che il nostro naturalista dovrebbe conoscere bene e seguire con salda fede nelle loro “verità”. Nessuno studioso di scienze naturali definirebbe un vantaggio collettivo per le specie vegetariane della savana la scomparsa dei leoni e degli altri predatori. Eppure il nostro naturalista ha fatto proprio questo, con grande disinvoltura, decidendo dall’alto della sua sapienza che una malattia con cui l’uomo ha convissuto per lungo tempo rappresenta un pericolo per la collettività. Non sarebbe più appropriato, sempre per un seguace delle discipline naturalistiche, sostenere che proprio certe difficoltà rendono la specie più forte e resistente e quindi rappresentano il bene per la specie? Che succede? Solo in questo caso egli ha difficoltà a trattare l’homo sapiens come una specie animale al pari delle altre? Eppure su altri argomenti sembra non ci sia per lui alcun problema a considerare l’uomo come un animale. Oppure ci sono differenti motivazioni dietro a questo repentino cambio di paradigma? O forse, più semplicemente, la sua capacità di coerenza logica non è particolarmente approfondita? Sta di fatto che la suddetta affermazione del nostro caro naturalista evidenzia una contraddizione con alcuni dei modelli fondamentali delle sue stesse discipline.
Ma la scorrettezza più grave di tale affermazione non è nei confronti delle discipline naturalistiche, bensì nei confronti dei ragionamenti filosofici sulla morale e sui valori. Il nostro naturalista pretende di sapere qual è il bene della collettività, così, all’impronta, senza alcun minimo accenno a una riflessione filosofica. Capisco che quest’ultima possa essere al di sopra delle sue forze, ma se così è, allora che egli (e coloro che gli sono amici e pari) lasci parlare su certi temi chi ne sa ben più di lui e non si lasci andare a enunciazioni di presunte verità, che non hanno nessun titolo per definirsi tali. In breve, egli non può permettersi di presupporre, con faciloneria, che esistano valori assoluti riconosciuti da tutti alla stessa maniera: che lo si sappia oppure no, le gerarchie dei valori sono soggettive e un valore che può essere molto importante per lui può esserlo molto meno per me, mentre al contrario io posso mettere ai primi posti per importanza valori che per lui sono secondari. Per questo motivo, prima di parlare del bene per la collettività ci dovrebbe pensare davvero molto: non è detto che ciò che pare bene a lui e a molti altri sia davvero tale, e soprattutto non è detto lo sia anche per me. Non conta neppure che la maggioranza delle persone siano d’accordo con lui. Ricordo al nostro naturalista che nel 1940 in Germania la maggioranza delle persone pensava che fossero un bene cose che adesso ci fanno rabbrividire. E non mi si tiri fuori la scienza, perché proprio in quel caso essa pure era d’accordo con certe teorie, almeno in parte, o addirittura ne era al servizio. Il riferimento alle teorie naziste mi spinge a ricordare al nostro naturalista, e a molti altri, che la prima volta in cui si è pensato seriamente di decidere dall’alto come dovesse essere l’uomo e quali sue caratteristiche bisognasse sviluppare fu proprio con l’eugenetica nazista. Quando si vuole imporre un modello di salute valido per tutti, nonostante ogni individuo sia diverso da tutti gli altri proprio su questo aspetto, non si fa altro che proporre un nuovo modello di eugenetica in cui si presuppone che tutti gli individui siano uguali, cioè abbiano le stesse caratteristiche, e reagiscano tutti nella stessa maniera. Si tratta di un totalitarismo, insomma, anche se di tipo diverso da quelli che hanno infestato il Novecento, ma molto peggiore di essi perché si ammanta di finta democrazia e di verità fasulle, che solo la diffusa ignoranza permette di spacciare per vere. Con queste argomentazioni in testa, a un certo punto mi sono svegliato e mi sono tristemente accorto che se il punto di partenza era un sogno, quest’ultima parte è drammaticamente vera.
Valter Bucelli