L’analisi dei reflui urbani, all’ingresso di un depuratore, può dirci molto in merito al consumo nella popolazione di sostanze quali droghe, alcol e farmaci. L’Istituto Mario Negri, più di 15 anni fa, mise a punto una tecnica chiamata “epidemiologia delle acque reflue“. La stessa tecnica è utilizzata dall’Istituto in collaborazione con l’Università statale di Milano per la sorveglianza virologica ambientale per controllare i virus eliminati dall’apparato intestinale.

Bisogna, più generalmente, ripensare i rischi legati alle acque reflue e il loro monitoraggio alla luce della pandemia di COVID-19 perché “(…) le prove convergenti dell’attuale pandemia, dei precedenti focolai e degli esperimenti controllati indicano che i SARS-CoV sono presenti nelle acque reflue per diversi giorni, portando a potenziali rischi per la salute attraverso i percorsi delle acque reflue trasportate dall’acqua e aerosolizzate. Il trattamento convenzionale delle acque reflue fornisce solo la rimozione parziale dei SARS-CoV, quindi lo smaltimento o il riutilizzo sicuri dipenderanno dall’efficacia della disinfezione finale. Ciò sottolinea la necessità di un quadro di valutazione e gestione del rischio su misura per la trasmissione di SARS-CoV-2 attraverso le acque reflue, compresi nuovi strumenti per la sorveglianza ambientale, garantendo un’adeguata disinfezione come componente del contenimento complessivo della pandemia di COVID-19“.

Che l’agente eziologico, SARS-CoV-2, fosse un virus a RNA escreto nelle feci è noto da tempo. Molti gruppi di ricerca hanno, infatti, analizzato la concentrazione di frammenti di RNA virale nelle acque reflue, quale strumento epidemiologico atto a valutare la prevalenza di agenti patogeni fecali nella comunità. È certamente importante “discutere le diverse potenziali fonti di questa contaminazione, le forme di persistenza nell’ambiente, le tecniche di eliminazione parziale e la possibilità di creare nuovi serbatoi“. (vedi anche qui)

Le concentrazioni di RNA del SARS-CoV-2 risultano altamente correlate con la curva epidemiologica COVID-19 e i ricoveri ospedalieri locali. Esse possono anticipare di una settimana i dati raccolti sui test COVID-19 e di tre giorni quelli dei dati sui ricoveri ospedalieri locali. Per inciso, questo implica che lo stesso tipo di analisi, fatte man mano che avanza la campagna vaccinale, potrebbe egualmente dirci, con un pò d’anticipo, se, come e quanto, la campagna vaccinale di massa stia contribuendo all’inquinamento delle acque e più in generale dell’ambiente.

Nel nostro paese, per fare un esempio, la Regione Liguria sta potenziando il sistema di monitoraggio e controllo della virologia ambientale con il coinvolgimento dell’Università di Genova e dell’Arpal e un investimento di quasi mezzo milione di euro in due anni. Complessivamente la regione vede il monitoraggio di 27 depuratori. tuttavia “Gli scarichi complessivamente censiti sono stati 1.280, di questi il 8,4% recapita in mare, il 91,1% in acque interne, mentre lo 0,5% trova altra destinazione. Un’ulteriore ripartizione in base all’origine vede il 46% degli scarichi prodotto da attività industriali e il 54% da reti fognarie urbane. L’indicatore prende in considerazione tutti gli scarichi di cui si ha notizia sul territorio regionale fatta eccezione per gli scarichi domestici, così come definiti dal d.lgs. 152/99, in quanto il loro effetto come fonte di inquinamento puntuale è trascurabile“. (vedi anche qui)

In Toxicological insights of Spike fragments SARS-CoV-2 by exposure environment: A threat to aquatic health? si valuta se i peptidi della proteina Spike possano causare un impatto negativo negli animali acquatici a causa della tossicità acquatica dei derivati ​​dei peptidi proteici Spike SARS-CoV-2 in essa confluenti. Ecco le conclusioni della ricerca riportate nell’abstract

La contaminazione da particelle acquatiche di SARS-CoV-2 ha un effetto colinesterasico nei girini di P. cuvieri. Questi risultati indicano che il COVID-19 può costituire un impatto ambientale o un potenziale danno biologico.

ecco l’abstract di SARS-CoV-2 come virus enterico nelle acque reflue: quale rischio per l’ambiente e il comportamento umano?

 I microrganismi come virus, batteri e protozoi sono la causa di molte infezioni umane trasmesse dall’acqua. Questi microbi sono naturalmente presenti negli ambienti acquatici o trasferiti al loro interno da fonti fecali. Rimangono in questi ambienti per periodi di tempo variabili prima di contaminare un nuovo ospite. Con l’emergere della pandemia di COVID-19, alcuni studi hanno riportato la presenza di acidi nucleici virali in campioni di feci di pazienti COVID-19, suggerendo la possibilità di trasmissione oro-fecale. L’RNA di SARS-CoV-2 è stato quindi rilevato nelle acque reflue di persone sintomatiche e asintomatiche con un rischio per la salute umana e ambientale. In questo lavoro si cerca di discutere le diverse potenziali fonti di questa contaminazione, le forme di persistenza nell’ambiente, le tecniche di eliminazione parziale e la possibilità di creare nuovi serbatoi.

Per quanto riguarda i rischi per la salute umana di una contaminazione ambientale da spike è importante segnalare la seguente ricerca, che evidenzia come la Spike possa provocare infiammazione cardiaca, rimodellamento ipertrofico e risposte autoimmunitarie nei topi. Leggiamo dall’abstract del preprint:
L’espressione selettiva della subunità S1 della proteina Spike SARS-CoV-2 nei cardiomiociti induce ipertrofia cardiaca nei topi

Il danno cardiaco è comune nei pazienti COVID-19 ospedalizzati e fa presagire una prognosi peggiore e una mortalità più elevata. Per comprendere meglio come SARS-CoV-2 (CoV-2) danneggia il cuore, è fondamentale chiarire la biologia delle proteine ​​codificate da CoV-2, ognuna delle quali può svolgere molteplici ruoli patologici. Ad esempio, la glicoproteina Spike CoV-2 (CoV-2-S) non solo impegna ACE2 per mediare l’infezione da virus, ma altera anche direttamente la funzione endoteliale e può innescare risposte immunitarie innate nei macrofagi murini coltivati. Qui abbiamo testato l’ipotesi che CoV-2-S danneggi il cuore attivando le risposte immunitarie innate dei cardiomiociti (CM). (…). L’espressione selettiva mediata da AAV9 di S1-TM nei CM ha causato disfunzione cardiaca, ha indotto il rimodellamento ipertrofico e ha suscitato l’infiammazione cardiaca. Poiché CoV-2-S non interagisce con l’ACE2 murino, il nostro studio presenta un nuovo ruolo patologico indipendente da ACE2 di CoV-2-S e suggerisce che il CoV-2-S1 circolante sia un allarmina riconoscibile da TLR4 che può danneggiare i CMs attivando le loro risposte immunitarie innate.

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